mercoledì 11 gennaio 2017

STEP 23: IL COLORE SELVAGGIO

Il pensiero selvaggio… probabilmente molti, come me, non avranno mai sentito parlare del pensiero selvaggio, e in questo post cercherò di dare delle delucidazioni riguardo questo tema particolare e interessante. Il termine fu coniato da Lévi-Strauss in un libro pubblicato negli anni cinquanta per indicare il collegamento che si si viene naturalmente a creare tra la Società Occidentale e le popolazioni ancestrali/ primitive, dagli indiani d’America sino agli aborigeni. Sostanzialmente si riflette sul fatto che l’uomo, di qualunque nazionalità esso sia, tende a ricreare delle strutture cognitive nel quale sono presenti riti, miti e credenze, che portano, in seguito, ad organizzare in maniera specifica una società, dare un ordine al caos del mondo.


In questo post cercherò di presentare il grigio tè verde come colore selvaggio, associandolo quindi ad una cultura precedente ai giorni nostri. 
Pensando al colore che mi è stato affidato, la prima e naturale associazione è quella con la cultura orientale, ecco più di preciso lo si ritrova nella Società Giapponese, la quale, nel VII secolo, aveva adottato il sistema cosmologico della Cina, dove si attribuiva a ciascuna direzione territoriale(centro, meridione, occidente, oriente, un colore e una precisa stagione. Tutto questo influenzò la vita quotidiana del popolo nei periodi Nara e Heian, colmi di tubù e superstizioni.


Con il passare dei secoli, l'importanza attribuita ai colori crebbe, basti pensare al periodo Heian , nel quale il colore aveva un ruolo essenziale, a livello culturale, spirituale e sensuale, all'interno della cultura classica giapponese. Uno degli esempi emblematici è il colore del kimono che seguiva quasi dei codici colori che identificavano il rango di corte dell'individuo e anche alla stagione in cui ci si trovava. Se queste regole non venivano rispettate la punizione era l'esclusione sociale, quindi era fortemente presa sul serio il rito. Ma ancor più del periodo di Heian, nel periodo Edo, caratterizzato dal forte decorativismo, esaltò colori che prima non erano presenti poiché nati dallo sviluppo di nuove tecniche di tintura dei tessuti , più consoni, rispetto a quelli base, ai canoni estetici maturati durante il periodo Genroku(1680-1709). I colori prediletti derivavano da combinazioni di tinte, basti pensare al jōshiki maku del kabuki. Secondo la spiegazione di Haga Tōru, che definisce suggestivamente il jōshiki maku come il tricolore del Giappone, il tricolore del mondo dell’intrattenimento e del divertimento, e lo contrappone parodisticamente al tricolore francese nato nello stesso periodo, il verde è ottenuto da una base di colore moegi, corrispondente a un verde cui sia stato aggiunto il giallo dei germogli di cipolla appena spuntati e leggermente scurito dall’aggiunta di un grigio che gli faccia prendere il colore del tè verde carico. I colori prediletti dagli attori del kabuki diventavano rapidamente di moda, diffondendosi, nei gusti del pubblico, da Edo alle più sperdute province di un paese chiuso ufficialmente alle influenze straniere ma quanto mai affamato di novità. I più celebri attori del kabuki, del resto, sperimentando una sorta di divismo ante-litteram, influenzarono ben presto i gusti popolari in fatto di atteggiamenti, abbigliamento, acconciature, accessori e profumi e legando il proprio nome a mode e a prodotti, e i colori non fecero eccezione a questa regola.



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